R nel bosco

ci trovate all’interno di R nel bosco

Passateci a trovare in negozio

piazza Fontanesi 6 a Reggio Emilia

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R nel bosco è un concept store a tema natura, offriamo prodotti che ricordano la natura in modi differenti.

R nel bosco è un luogo dove puoi trovare tante cose che parlano di natura in forme diverse. Oggetti utili in giardino o all’aria aperta e molti altri che ti trasportano immediatamente su un prato o in un bosco. R nel bosco potrebbe essere confuso con un laboratorio botanico o una raccolta di memorabilia provenienti dalla natura. R nel bosco sta al limitare di un bosco che è piazza Fontanesi, un luogo di fronde e ombre. All’interno di R nel bosco c’è uno specchio che riflette le stagioni all’esterno.

Sugli scaffali di R nel bosco le cose cambiano posto o crescono e mettono radici. Articoli per il giardinaggio, prodotti ispirati alla natura. Semi e piante, attrezzi, vasi e contenitori, decorazioni, gioielli, abbigliamento, libri e stampe.

R nel bosco è una raccolta di stranezze naturali, popolata stagionalmente da ospiti, artisti e botanici.

Siamo stati da sempre dei collezionisti di piccole cose inutili e preziosissime: semi, cocci di piastrelle, foglie, sassi. Volevamo creare un luogo bello che fosse allo stesso tempo sia un negozio che una collezione, che avesse sui suoi scaffali oggetti semplici con una storia che sa di passeggiate in campagna, case sugli alberi, ricordi di viaggio. Regali (anche per se stessi) utili e minuti allo stesso tempo, come può essere un seme. Quando abbiamo deciso di aprire R nel bosco ci siamo accorti che il mondo è pieno di persone che collezionano piccole cose inutili, che le pensano, le progettano e le creano.

Perchè questo nome?

Tutto è partito da una grossa R trovata in un incolto cittadino, recuperata cercando di immaginare il luogo scomparso che la aveva ospitata. La lettera R è anche l’iniziale di molte parole che ci sono venute in mente nel tempo e che noi abbiamo collezionato e ‘messo’ nel bosco. Esattamente come una raccolta di stranezze e fantasie in un bosco misterioso o una stanza delle meraviglie, abbiamo ‘messo’ dentro a R nel bosco tutto quello che in un bosco poteva starci bene:

rabarbaro, razzo, rottame, rebus, rami, riccio, roccia, reliquia, regina, rastrello, ranuncolo, rospo, rosso, rapa, righello, raganella, renna, robinia, radar, rovere. rarità, rinoceronte, raggio, ramoscello, raduno, relitto, racchetta, recinzione, riso, rumore, radicchio, regionale, rotaia, racconto, rime, re, radiologo, ramarro. ricamo, robot, rovi, rintocchi, richiamo, radura, radice, ragnatela, ruota, rattoppo, ristorante, radio, regno, ragù, respiro, raviolo, ruspa, raccordo, reggia. ragazzi, rapido, rotella, ramazza, riccardo, rocca, radiosveglia, relax, rabdomante, realtà, radiatore, residenza, rucola, rosmarino, raffaella, rampone. ricordo, raccoglibriciole, refrigeratore, …

R nel bosco è uno spazio piccolo. In 25 metri quadri abbiamo collezionato e continuiamo a raccogliere tante particolarità. Piante, semi, decorazioni, accessori, stampe, libri, terrari, ma anche mostre e incontri, consigli e progetti.

Visitate il nostro negozio online e passateci a trovare in negozio in piazza Fontanesi 6 a Reggio Emilia.

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Attenti a dove mettete i piedi

attenti-a-dove-mettete-i-piedi(pubblicato sul blog tutto è bello)

 

Sapevate che l’aroma e il gusto dei prodotti agricoli cambiano a seconda del posto in cui vengono prodotti e che ortaggi e frutti si portano dietro dopo la raccolta il sapore del luogo in cui vengono coltivati? È tutta una questione di suolo.

“È la superficie di terreno sopra il quale si cammina”: questa è la prima definizione che si trova sul dizionario. Non è semplicemente lo strato superiore del terreno, è anche la sua parte viva, dove si concentrano la maggior parte delle attività biotiche. Le piante lo utilizzano come supporto per la crescita, nutre direttamente o indirettamente tutte le forme di vita presenti in natura. È una materia in trasformazione continua: nasce, si modifica e in alcuni casi muore.

Ricetta per un buon suolo

Il suolo possiede una struttura molto complessa nella quale ogni elemento è in relazione con un altro. La sua composizione è simile a un impasto da panificazione. La sua formazione, come in una ricetta, prevede una successione di passaggi e una serie di ingredienti essenziali. Vediamo quali.

Ingredienti

  • scheletro a piacere
  • sabbia, limo e argilla in parti diseguali
  • acqua e aria quanto basta
  • lettiera e detriti organici in buona quantità
  • humus quanto serve
  • radici e ife fungine in abbondanza
  • fauna tellurica per aromatizzare il tutto

Difficoltà

alta

Tempo di cottura

lungo

Preparazione

  • Mescolare in parti diverse sabbia, limo e argilla in modo da ottenere sempre suoli diversi e dalle caratteristiche differenti. Considerare nella scelta e nella misura di questi ingredienti che i suoli sabbiosi saranno più areati e meno soggetti ad allagamenti, ma in compenso saranno meno fertili; quelli argillosi avranno saranno più soggetti all’asfissia, ma anche molto più fertili; il limo ha caratteristiche intermedie tra questi due materiali.
  • Aggiungere lo scheletro per aumentare la capacità di movimento dell’acqua all’interno dell’impasto
  • Insaporire con humus: un materiale che associato all’argilla forma dei complessi in grado di trattenere gli elementi nutritivi e l’acqua, costituendo la struttura del suolo. Gli abitanti del suolo sono capaci di riassemblare la nuova sostanza organica in questo elemento, creandone di nuovo e arricchendo il terreno.
  • Impastare controllando di volta in volta i livelli di acqua e aria, cercare di non eccedere in uno o nell’altro senso: maggiore quantità di acqua comporterà un’asfissia del terreno, maggiore quantità di aria porterà a una condizione di aridità.
  • Aggiungere abbondanti radici e ife fungine: l’insieme dei loro filamenti creerà una fitta rete che darà struttura al suolo ed sarà responsabile degli spostamenti degli elementi nutritivi. Questi ultimi estratti dal complesso argillo-umico verranno dislocati verso le parti superiori del terreno.
  • Aromatizzare con fauna tellurica, scegliendo tra gli ingredienti gerarchicamente più differenti: dai mammiferi ai protozoi, dai molluschi ai nematodi. Esiste una moltitudine di specie che abita nel sottosuolo ed è responsabile del rimescolamento dei materiali al suo interno, delle connessioni tra zone profonde e superficiali.
  • Decorare con un buon strato di lettiera: ciò che vive al di sopra del suolo deposita a ogni ciclo vitale o stagionale detriti sulla superficie. Questo strato di sostanza organica verrà digerito dalla fauna e dalla flora presenti ed entrerà a far parte della struttura stessa del suolo.

Costo: dipende dai punti di vista: basso in termini di input esterni, altissimo in termini di numero di relazioni ed elementi coinvolti

Il sapore di terra che spesso riconosciamo in alcune pietanze ha origine in una molecola – la geosmina – prodotta da alcuni microrganismi terricoli.

Indicazione geografica tipica

Il suolo è un prodotto tipico di un luogo. Può assumere forme e caratteristiche differenti a seconda delle trasformazioni che ha subito, dei materiali di cui è composto e del clima in cui si è formato. Può essere più o meno profondo, dai colori più vari a seconda della composizione chimica che lo caratterizza (the color of soil). Anche il suo odore può essere particolare e dipendere dalle condizioni in cui si trova. Esaminandolo sensorialmente (prova della vanga) si possono conoscere molte peculiarità senza l’ausilio di un’analisi chimica approfondita. Queste caratteristiche rappresentano l’identikit di una porzione di suolo e sono riconducibili alla porzione raccolta in quel preciso luogo. L’uso dei cinque sensi è indispensabile al suo studio. Ibn al-Awwam, un agronomo arabo del XII secolo, nel suo trattato sull’agricoltura (Le livre de l’agriculture) consiglia di assaggiare campioni di substrato sciolti in acqua per conoscerne tramite il gusto determinate proprietà.

L’aroma e il gusto dei prodotti agricoli cambiano a seconda del luogo in cui vengono prodotti. Ortaggi e frutti si portano dietro dopo la raccolta il sapore del suolo in cui vengono coltivati. Il sapore di terra che spesso riconosciamo in alcune pietanze ha origine in una molecola – la geosmina – prodotta da alcuni microrganismi terricoli. La nostra attrazione (earthy’ flavours in food) per questa molecola è molto forte: viene rilevata dal nostro olfatto anche se in piccolissime quantità e addirittura ricercata negli aromi di vini e profumi. Il suolo influenza i sapori, ma è anche a sua volta un sapore. Esistono molte proposte di esperienze sensoriali che portano a mettere il naso direttamente nel suolo (Sweet and sour soils). Storicamente il consumo di suolo indiretto o diretto (geofagia) ha da sempre accompagnato le abitudini alimentari umane, a confermare lo stretto rapporto tra suolo e uomo.

Divoratori di suolo

Ma il consumo di suolo è anche quello di più di trenta ettari di terreno agricolo cementati ogni giorno in Italia. Una voracità senza limiti e senza logica, dato che molto spesso la cementificazione è destinata inesorabilmente all’incuria (documentario sul consumo di suolo). Un equilibrio che viene scosso anche dall’agricoltura, a partire dalla Rivoluzione verde degli anni ’60, mediante l’uso massiccio di diserbanti e concimi chimici. Ciò che viene compromesso, seppellito e depredato ci mette decine d’anni a tornare a essere l’entità viva che era prima.

foglie, foglie, foglie ovunque

foglie-foglie-foglie-ovunque

(pubblicato sul blog tutto è bello)

Siamo immersi in un numero esorbitante di specie vegetali, alcune le notiamo appena. Mentre camminiamo lungo una strada o in un parco calpestiamo inevitabilmente svariati esemplari di piante. Foglie, foglie, foglie ovunque, dalle forme più disparate e dalle mille sfumature di verde. Ma da dove vengono tutte queste piante?

Una marea di piante

Il numero di specie vegetali sul pianeta Terra è in evoluzione continua, ad oggi se ne stimano all’incirca 350.000 (The plant list). A differenza degli uomini che si riassumono in una singola specie, i vegetali possiedono una suddivisione molto più complessa, sono differenziati in generi, specie, sottospecie, varietà, forme, cultivar e via dicendo. Una complessità in crescita con l’avvento dell’agricoltura, ma anche con l’uso della mappatura del genoma che permette di dettagliare maggiormente le caratteristiche e suddividere quindi una popolazione in taxa differenti. Stringendo il campo, il numero di piante rimane sempre gigantesco: la flora urbana di una città come Trieste conta all’incirca 1232 specie (flora urbana della città di Trieste).

Migrazioni vegetali

La maggior parte delle piante che ci circondano arrivano da altrove e l’uomo con i suoi spostamenti è stato lo strumento più efficiente per questo movimento. Hanno viaggiato sotto forma di semi nelle tasche, attaccate agli abiti o aggrappate ai mezzi di trasporto. I giardini come noi li conosciamo oggi con le loro fioriture e il loro ‘foliage’ sono figli di queste migrazioni. Ma le piante non sono fatte per fermarsi dove vengono piantate. Una volta acclimatate in orti botanici e vivai hanno preso nuovamente il largo per colonizzare nuovi spazi, creando non pochi problemi alla flora locale. Le specie aliene che arrivano da altri continenti sono moltissime, in Lombardia il loro numero è impressionante (La flora esotica lombarda). La diffusione della biodiversità globale ha significato la diminuzione della biodiversità locale: le nuove specie rubano spazio e habitat alle specie endemiche. L’introduzione di nuove piante è continua, ma un’alternativa è possibile: si possono utilizzare essenze autoctone (Des alternatives aux invasive), riducendo così l’immissione di piante potenzialmente aggressive per il paesaggio.

Hanno viaggiato sotto forma di semi nelle tasche, attaccate agli abiti o aggrappate ai mezzi di trasporto. I giardini come noi li conosciamo oggi con le loro fioriture e il loro ‘foliage’ sono figli di queste migrazioni.

Mettere radici altrove

Da bambino pensavo che la migliore idea per colonizzare un nuovo pianeta fosse quella di piantarci delle piante, così avrebbero riempito di ossigeno quel mondo inospitale rendendolo vivibile. L’Agenzia spaziale europea sta studiando da una decina d’anni il comportamento delle piante in assenza di gravità (A decade of plant biology in space). L’idea di popolare un nuovo mondo è legata a doppio filo alla possibilità di coltivare su altri pianeti. Le agenzie spaziali stanno elaborando serre che possano produrre cibo per una possibile colonia marziana. Al Chelsea flower show una progettista ha tentato di immaginarsi un’ipotetica immersione in un giardino maziano (600 Days with Bradstone). Ci avrà visto giusto? I giardini di una futura colonia marziana saranno fatti in questo modo? Il primo giardino terrestre molto probabilmente si sviluppò da un primordiale orto: innanzitutto l’umanità ha pensato a saziarsi per poi passare a stupirsi. Forse il destino dell’uomo è essere anche questa volta un mezzo, il motore per la diffusione delle piante nel sistema solare.

L’idea di popolare un nuovo mondo è legata a doppio filo alla possibilità di coltivare su altri pianeti.

From outer space

E se le piante arrivassero da altri mondi per colonizzare la terra alla ricerca di risorse? E se questa colonizzazione fosse avvenuta all’incirca mezzo miliardo di anni fa? Ci siamo sbizzarriti a popolare mondi fantascientifici di piante dotate di movimento, affamate e senzienti (L’invasione dei mostri verdi). Ci siamo appassionati a osservare il legame simbiotico tra gli abitanti di Pandora e il mondo vegetale che li circonda (Avatar). Ma abbiamo completamente dimenticato di osservare la ricchezza botanica lungo la strada che percorriamo ogni giorno. Di afferrare la complessità del viaggio che alcune specie hanno dovuto intraprendere per diventare comuni su tutto il pianeta. Della rete di contatti interspecifici che una pianta riesce a instaurare nel corso della sua vita.

Sì, forse proprio ora mentre scrivo, mi accorgo dell’alienità delle piante e di quanto insignificanti e strani possiamo sembrare noi ai loro occhi. Per quanto riguarda i loro piani per il futuro riguardo a noi e al pianeta Terra, è difficile dirlo, ma comunque farò attenzione a dove metterò i piedi.

Immersione nell’erba alta

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(pubblicato sul blog tutto è bello)

Alla fine ho smesso di coltivare pomodori per dedicarmi al lato estetico della natura o forse solo alla bellezza nascosta dietro una foglia. Quello che è certo è che sono riuscito a sostituire l’ansia da prestazione orticola con un sano e semplice scrutarsi attorno. Perché se non si vuole realizzare una food-forest può andare bene anche una giungla, perché i fiori delle piante orticole possono stare benissimo in un giardino. In fin dei conti ci vuole solo un po’ di fantasia.

Orto, orticoltura, ortaggi!

Ho preso la mia decisione mentre un urlo planetario, simile a un rimbombo continuo e ininterrotto, rimbalzava su tutti i social network per condensarsi in libri sempre più corti e dai font sempre più larghi: ho deciso di perdermi e iniziare a guardare le foglie! Tutto a un tratto il fragore si è fatto lontano e ho ripreso a pensare senza etichette. Fino a un attimo prima mi sentivo stordito da una raffica di cartellini, rigonfio di conoscenze tritate fini; avevo finalmente riavviato il cervello. Non dico che l’affollamento precedente sia stato vano, ma è stato molto utile fare pulizia. Ho passato diversi anni a contatto con estremisti permacultori, fondamentalisti biodinamici, integralisti del modello Fukuoka, cultori dell’idroponica; anni ad ascoltare, ribattere, credo senza essere ascoltato a mia volta. Un periodo in cui anche io ho cercato di trovare una via di mezzo tra le correnti di pensiero, un dialogo tra le fazioni, un punto di contatto. Ma nulla, solo amare discussioni. Tutto finiva sempre con l’ennesima domanda: ‘Ma tu applichi la biodinamica o la permacultura ai tuoi giardini?’.

Ho passato diversi anni a contatto con estremisti permacultori, fondamentalisti biodinamici, integralisti del modello Fukuoka, cultori dell’idroponica; anni ad ascoltare, ribattere, credo senza essere ascoltato a mia volta.

Punti di vista

Un approccio differente l’ho ritrovato in Manenti e nella sua idea di agricoltura basata sul buon senso, sulle buone pratiche e sul rispetto del suolo. Una persona pragmatica che capisce quanto è duro lavorare la terra e usa il trattore senza troppi fronzoli. In lui ho trovato un’attenzione al territorio e al particolare che non avevo notato in nessun orticoltore radicale. Ho cercato una via e l’ho ritrovata prima in un libro sul suolo come patrimonio di una decina di anni fa dei Bourguignon, poi nella foresta nascosta di Haskell: lettura leggera delle interconnessioni tra i diversi elementi naturali esistenti. Quello di cui avevo necessità era un tuffo all’indietro per riuscire a rintracciare la scientificità di molte opinioni ascoltate. Quello che questi autori provocarono in me fu un distacco maggiore dalle tematiche produttive e un interesse smodato per il perché delle cose. Ormai ero salpato.

Un biologo probabilmente mi guarderebbe inorridito ritenendoli degli autori divulgativi, ma penso che un libro debba anche entusiasmare e soprattutto essere comprensibile.

Perdersi tra le pagine

Iniziai a farmi domande stupide per avere delle risposte alle volte altrettanto stupide, a riempirmi la casa di libri che mi dessero delle spinte, o meglio degli strattoni violenti verso gli argomenti più disparati. Penso che una verità di fondo ci sia in qualsiasi corrente di pensiero: se prendete in considerazione per esempio i differenti metodi di potatura vi accorgerete che ne esistono infinite varianti, ma tutte quante dipendono dal movimento della linfa nella pianta. Da qui l’interesse per le basi del mondo vegetale. Pollan, Silvertown e Chamovitz sono autori che consiglierei a tutti per iniziare a sondare la biologia e quindi l’agricoltura. Un biologo probabilmente mi guarderebbe inorridito ritenendoli degli autori divulgativi, ma penso che un libro debba anche entusiasmare e soprattutto essere comprensibile. Inoltre spulciando le ottime bibliografie contenute in fondo ai volumi si può approdare a nuove e incredibili risorse o ad ancora più assurde domande.

Come un esploratore che parte alla volta di un nuovo mondo mi serviva una guida per non perdermi. L’ho trovata in alcune risorse che oggi reputo irrinunciabili per approcciare in modo diverso la realtà che ci circonda.

Con le pinne, fucile ed occhiali

A quel punto ero sul limitare del prato, una distesa ondeggiante di erbe alte e differenti le une dalle altre. Mi dovevo assolutamente dotare di un equipaggiamento appropriato se non volevo smarrirmi. Come un esploratore che parte alla volta di un nuovo mondo mi serviva una guida per non perdermi. L’ho trovata in alcune risorse che oggi reputo irrinunciabili per approcciare in modo diverso la realtà che ci circonda. Innanzitutto Keri Smith (Come diventare un esploratore del mondo) che insegna la buona abitudine di crearsi un proprio atelier di sperimentazione e Il mondo segreto delle piante di Jeanne Failevic e Véronique Pellissier (titolo originale: Les plantes ont-elles un zizi?), un libro vasto e saturo di nozioni e informazioni che una persona interessata alle piante deve conoscere. Infine una bussola utile per non perdersi è il progetto Dryades: uno strumento per il riconoscimento delle piante consultabile da smartphone o pc. Con questi attrezzi a portata di mano è arrivato il momento di tuffarsi.

Immergersi

Una volta immersi nell’erba alta l’unica cosa da fare è aprire gli occhi, allungare le mani e iniziare a imparare con lentezza. Durante l’esplorazione l’unica cosa importante è osservare e prendere appunti: abbozzare una descrizione dell’oggetto e dell’ipotesi della nostra indagine; farlo utilizzando tutti i sensi a nostra disposizione e con ogni forma stilistica possibile (dalla fotografia all’erbario). Perché nessuno di noi ha nulla da invidiare ai grandi esploratori e ai loro taccuini di viaggio (Explorers’ Sketchbooks).

entrare in punta di piedi

appunti-oasi-urbanaleggi gli appunti

Per riuscire a guardare con un’altra ottica il paesaggio che ci circonda dobbiamo percepire gli strati da cui è formato. Un qualsiasi panorama è assimilabile a una ‘torta’ per come è composto: molti elementi differenti legati insieme a volte indissolubilmente e in modo complesso, che presi singolarmente non sarebbero assolutamente ascivibili al ruolo di ‘torta’. Prendere coscenza di come è fatto un luogo ci dovrebbe trasmettere l’attenzione a maneggiarlo e soprattutto a riprogettarlo o a riqualificarlo. Un progetto anche se leggero può risultare uno stravolgimento della realtà: debolmente connesso con l’intorno ma fortemente inciso nel territorio.

appunti per Oasi urbana – Reggio Emilia – 2016

#riqualificazione #paesaggio #stratificazione

fiori d’orto

Orto! orto! orto! Ma non molti sanno che anche le piante dell’orto fanno fiori prima di fare i frutti che raccogliamo (o i tuberi o le foglie); che sono piante a tutti gli effetti: hanno radici, fusti e foglie. Fiori che non sfigurerebbero all’interno di un giardino in competizione con una ‘super doppia’ rosa o l’ultima varietà di garofano sul mercato. La storia dell’addomesticazione di alcuni ortaggi è passata attraverso il giardino per finire nei nostri piatti. Un consiglio per il giardino è di iniziare a piantarci ortaggi e un consiglio per l’orto è di iniziare a viverlo come un giardino. Siete capaci di riconoscere quali colture sono?

fiori-dorto-quizquiz fiori d’orto

punti di vista

punti-di-vista

Il paesaggio non è tale senza un osservatore, ma se l’osservatore fosse minuscolo? se l’intero panorama che stessimo  osservando  fosse  microscopico?  Oppure:  se  non  ci  fosse  un testimone, non esisterebbe quella realtà?

Cambiando il punto di vista possiamo notare e percepire il paesaggio laterale e tangente, quello ignorato e non visto, al di sopra di una chioma o tra le radici di un  albero.  Modificando  gli  interessi  e  le  necessità  rispetto  a  un  luogo, possiamo  dare  valore  a  ciò  che  è  nascosto  alla  vista  umana:  un  fungo,  un sasso, una piuma, una pozza d’acqua. Si scoprono quindi cento paesaggi dove, a una prima occhiata, ne esisteva uno solo. Panorami adagiati gli uni sugli altri, inglobati gli uni negli altri.

Immaginarsi  insetto,  uccello,  cane,  foglia,  vento,  acqua  permette  di  notare  i punti notevoli o nodi delle relazioni che sussistono tra i diversi elementi della realtà che stiamo osservando.

#paesaggi #sguardi #interessi #necessità #dimensioni

questione di strati

Un giardino ‪#‎pensile‬ è il risultato di una sovrapposizione di strati che proteggono la membrana impermeabile sottostante e permettono lo sviluppo radicale delle piante. Salendo di livello abbiamo un primo spessore di materiale drenante nel quale sono immersi i moduli che aggevolano lo smaltimento dell’acqua. Sopra di questo si trova il substrato colturale leggero: un miscuglio calibrato di materiale inerte e organico (lapillo, pomice, argilla espansa, humus di corteccia, compost vegetale). Al di sopra di quest’ultimo si stende il manto vegetale. La possibilità di inserire alberi, arbusti o erbacee dipende dalla misura degli spessori sottostanti, nei quali allungheranno i loro apparati radicali. Per una copertura estensiva con piante alpine e da clima arido, adattate a vivere in un substrato limitato, con ridotto apporto idrico e alto irraggiamento solare, sono sufficienti circa 15 cm di spessore di substrato. Per una copertura intensiva con una vegetazione più alta si dovrà salire sopra i 20 cm. Maggiore è lo spessore minore è il volano termico che il pacchetto subirà e ridotto sarà lo stress a cui verranno sottoposte le piante inserite. Importante è garantire, anche nel caso di specie poco esigenti, un adeguato apporto idrico durante le prime fasi dell’impianto per favorire lo sviluppo radicale. Anche l’edificio sottostante è più riparato dagli sbalzi termici se la copertura che lo sovrasta ha uno spessore maggiore. Il genere ‪#‎Sedum‬ è quello maggiormente utilizzato per le coperture a bassa manutenzione, come tetti piani non accessibili e al di sopra di edifici produttivi. Il verde pensile realizzato con queste piante, a maturità, sembrerà un tappeto melange dalle tonalità autunnali e dal limitato spessore di 5-10 cm. I sedum sono sempreverdi e offrono un’unica fioritura (bianca, gialla, rossa o violacea) tra la primavera e l’autunno. Ne esistono moltissime varietà (circa 600 specie) e si potrà spaziare da un quadro monocromatico a uno molto variegato. Per la realizzazione si possono piantumare le piantine singole, le talee (per grandi estensioni) o i quadrati pre-germinati (per un pronto effetto). Durante il primo anno si dovranno tenere sotto controllo le piante infestanti, ma in seguito questa vegetazione tenderà a chiudere ogni spazio disponibile limitandone la crescita. Una potatura delle piantine può aumentarne la diffusione nell’area, infatti i sedum possiedono la caratteristica delle piante grasse di potersi riprodurre facilmente per talea: ogni porzione della pianta è in grado di radicare facilmente.
‪#‎verdepensile‬ #sedum ‪#‎estensivo‬ ‪#‎copertureverdi‬

egocentrismo verde

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la settimana scorsa sono stato oggetto di un’intervista da parte di popcornblogazine, la inserisco qui sotto…

Gli uomini discutono, la natura agisce… Voltaire

di Samantha Lamonaca

L’uomo non può fare a meno della natura. La natura, però, sì. Ce lo insegna Francesco Vanotti, in arte Plantula. Un progetto di intrecci, storie, scoperte e desideri che sono emersi da una chiacchierata sotto il sole…

Cos’è Plantula?
Plantula è uno studio di progettazione del verde, ma forse è riduttivo e freddo etichettarla in questo modo. Ci occupiamo di piante, questo sì, ma dalle foglie alle radici. Decliniamo il mondo vegetale nei suoi molteplici linguaggi. Plantula è un contenitore di spunti e progetti che gravitano intorno al verde, sempre aperti a collaborazioni e a nuove e balzane idee.

Chi c’è dietro questo progetto?
Ci sono io, Francesco Vanotti, ho una formazione agronomica, ma ora ho difficoltà a definirmi così: ho seguito molti corsi che mi hanno fatto deviare dal campo puramente scientifico a qualcosa di più variegato. Mi interesso di un po’ di tutto e assimilo da ogni esperienza. Mi ritrovo ad essere in sintonia con le stagioni: in autunno si pota e si scrive, in inverno si studia e si progetta, in primavera si semina e si disegna, d’estate si accudisce e si formano nuove idee.

Come ti sei avvicinato al mondo della natura?
Tutto è iniziato nel giardino di mia madre, piccolo ma pieno di angoli e foglie, dove ci si poteva perdere a osservare. Poi i disegni su ceramica di mia nonna: così orientaleggianti e immaginifici. Poi i libri e gli studi, lo sfogliare erbari, le immagini di altri libri. Il passeggiare a zonzo nei boschi, gli orti botanici.

Bellissimo l’erbario presente sul sito, quanto ci hai messo arealizzarlo e che difficoltà hai trovato con lo studio delle piante?
Partiamo dall’idea che non si possono conoscere tutte le piante esistenti in natura, ma ogni anno pazientemente se ne possono imparare alcune, come in una collezione. L’importante è avere pazienza e conoscerle in tutte le loro fasi vegetative. Sono partito dallo studio degli alberi per poi scendere in altezza fino alle piante erbacee, ma ho ancora molto da conoscere. Quando si riesce consiglio di girovagare in un vivaio e fotografare o disegnare. Poco alla volta si possono iniziare a coltivarle e a collezionarle; le mie ultime scoperte sono le piante da interno. Oggi il riconoscimento è molto più semplice rispetto a una decina di anni fa: ci sono applicazioni molto utili (come il Progetto Dryades) e si possono eseguire ricerche su internet per immagini, ma la cosa migliore rimane sempre l’erbario cartaceo disegnato o fotografico.

Quando si parla di giardinaggio cosa ti viene in mente?
Mi vengono in mente due immagini agli antipodi. I giardini dell’infanzia di ognuno di noi, ingarbugliati e sovrastanti, disordinati e forse imperfetti. Luoghi dove perdersi, dove poter mettere mano, dove poter esplorare, sradicare e piantare, aggiungere e togliere. Insomma un luogo libero dove poter ritrovare un proprio stato naturale. L’altra immagine è quella del giardinaggio schematico e vuoto delle villette a schiera, con la siepe di fotinia, il prato all’inglese, l’olivo o l’acero giapponese. Un non-luogo dove non poter fare e dove non poter toccare, un verde plastico, asettico e abiotico. Mi piacerebbe che questo modello venisse eradicato, tramutato, seminato lungo i bordi, piantumato nel mezzo.

Quali sono le basi del vostro giardinaggio?
Innanzitutto penso che nella progettazione di uno spazio si debba tener conto di lasciare delle aree vuote, dove chi vive ogni giorno il giardino possa agire. Un secondo punto fermo nella scelta delle piante è quello di poter mescolare specie per ottenere uno spazio che non sia suddiviso in compartimenti stagni: orto, aromatiche, frutteto. Perché anche i finocchi o i carciofi hanno delle fioriture interessanti.

Prestate molta attenzione anche all’incolto, puoi spiegarci cosa ci trovi?
L’interesse verso l’incolto e le piante spontanee, nasce innanzitutto dall’accorgersi che le piante ci circondano e alle volte ci sovrastano. Camminando in città ci si rende subito conto che le foglie sono ovunque: spighe o viticci spuntano da ogni parte. Una bellezza gratuita, fatta di fioriture e frutti, che ci accompagna ad ogni passo. Accorgersi della presenza di questi ritagli avvia delle riflessioni sul consumo di suolo, sulla cura del territorio, sul riappropriarsi degli spazi. Coltivare una porzione di incolto e arricchire questi angoli di città di nuovi colori scatenerà delle azioni di ricolonizzazione e riattivazione.

Il “giardino inatteso” è un progetto nel progetto, puoi raccontarcelo?
All’inizio del 2015 è iniziato un progetto in collaborazione con Remida (Centro di Riciclaggio Creativo) di Reggio Emilia. Il tema era un’analisi dell’incolto come risorsa e non come scarto. Il percorso esplorativo è iniziato all’interno del complesso abbandonato delle Officicine Meccaniche Reggiane alla ricerca di forme di vita vegetali. Ci siamo accorti che sono numerosissime le specie presenti, di cui è stata stilata una lista. In seguito è stato avviato un viaggio che ci ha dapprima portati a degli incontri con i bambini sul tema delle piante pioniere, con la semina di alcune cassette ‘prêt-à-porter’; per poi approdare a un workshop e a delle passeggiate nell’incolto. Il giardino inatteso è la bellezza dietro l’angolo e la possibilità di crearne uno.

Cosa vuol dire per dei giovani scommettere su un’idea e lanciare un proprio progetto in autonomia?
Significa avere a cuore e amare il proprio lavoro ed essere in sintonia con i propri pensieri. Ma anche provare sempre qualche nuova strada, gettarsi da un’idea all’altra: da un progetto editoriale, a uno educativo, dal design all’incolto. Vuole dire conoscere cose nuove e nuove tematiche, intrecciare relazioni e farsi sempre contaminare. Penso che si debba essere gentili, condividere esperienze e contatti, lasciare un bel segno.

Cosa ti attrae della natura?
Mi attrae la sua capacità rigenerativa e l’assoluta non necessaria presenza dell’essere umano.

Qualcosa da dichiarare?
Creare luoghi dove perdersi tra le fronde.

PLANTULA: il progetto più verde che c’è