(pubblicato sul blog tutto è bello)
Alla fine ho smesso di coltivare pomodori per dedicarmi al lato estetico della natura o forse solo alla bellezza nascosta dietro una foglia. Quello che è certo è che sono riuscito a sostituire l’ansia da prestazione orticola con un sano e semplice scrutarsi attorno. Perché se non si vuole realizzare una food-forest può andare bene anche una giungla, perché i fiori delle piante orticole possono stare benissimo in un giardino. In fin dei conti ci vuole solo un po’ di fantasia.
Orto, orticoltura, ortaggi!
Ho preso la mia decisione mentre un urlo planetario, simile a un rimbombo continuo e ininterrotto, rimbalzava su tutti i social network per condensarsi in libri sempre più corti e dai font sempre più larghi: ho deciso di perdermi e iniziare a guardare le foglie! Tutto a un tratto il fragore si è fatto lontano e ho ripreso a pensare senza etichette. Fino a un attimo prima mi sentivo stordito da una raffica di cartellini, rigonfio di conoscenze tritate fini; avevo finalmente riavviato il cervello. Non dico che l’affollamento precedente sia stato vano, ma è stato molto utile fare pulizia. Ho passato diversi anni a contatto con estremisti permacultori, fondamentalisti biodinamici, integralisti del modello Fukuoka, cultori dell’idroponica; anni ad ascoltare, ribattere, credo senza essere ascoltato a mia volta. Un periodo in cui anche io ho cercato di trovare una via di mezzo tra le correnti di pensiero, un dialogo tra le fazioni, un punto di contatto. Ma nulla, solo amare discussioni. Tutto finiva sempre con l’ennesima domanda: ‘Ma tu applichi la biodinamica o la permacultura ai tuoi giardini?’.
Ho passato diversi anni a contatto con estremisti permacultori, fondamentalisti biodinamici, integralisti del modello Fukuoka, cultori dell’idroponica; anni ad ascoltare, ribattere, credo senza essere ascoltato a mia volta.
Punti di vista
Un approccio differente l’ho ritrovato in Manenti e nella sua idea di agricoltura basata sul buon senso, sulle buone pratiche e sul rispetto del suolo. Una persona pragmatica che capisce quanto è duro lavorare la terra e usa il trattore senza troppi fronzoli. In lui ho trovato un’attenzione al territorio e al particolare che non avevo notato in nessun orticoltore radicale. Ho cercato una via e l’ho ritrovata prima in un libro sul suolo come patrimonio di una decina di anni fa dei Bourguignon, poi nella foresta nascosta di Haskell: lettura leggera delle interconnessioni tra i diversi elementi naturali esistenti. Quello di cui avevo necessità era un tuffo all’indietro per riuscire a rintracciare la scientificità di molte opinioni ascoltate. Quello che questi autori provocarono in me fu un distacco maggiore dalle tematiche produttive e un interesse smodato per il perché delle cose. Ormai ero salpato.
Un biologo probabilmente mi guarderebbe inorridito ritenendoli degli autori divulgativi, ma penso che un libro debba anche entusiasmare e soprattutto essere comprensibile.
Perdersi tra le pagine
Iniziai a farmi domande stupide per avere delle risposte alle volte altrettanto stupide, a riempirmi la casa di libri che mi dessero delle spinte, o meglio degli strattoni violenti verso gli argomenti più disparati. Penso che una verità di fondo ci sia in qualsiasi corrente di pensiero: se prendete in considerazione per esempio i differenti metodi di potatura vi accorgerete che ne esistono infinite varianti, ma tutte quante dipendono dal movimento della linfa nella pianta. Da qui l’interesse per le basi del mondo vegetale. Pollan, Silvertown e Chamovitz sono autori che consiglierei a tutti per iniziare a sondare la biologia e quindi l’agricoltura. Un biologo probabilmente mi guarderebbe inorridito ritenendoli degli autori divulgativi, ma penso che un libro debba anche entusiasmare e soprattutto essere comprensibile. Inoltre spulciando le ottime bibliografie contenute in fondo ai volumi si può approdare a nuove e incredibili risorse o ad ancora più assurde domande.
Come un esploratore che parte alla volta di un nuovo mondo mi serviva una guida per non perdermi. L’ho trovata in alcune risorse che oggi reputo irrinunciabili per approcciare in modo diverso la realtà che ci circonda.
Con le pinne, fucile ed occhiali
A quel punto ero sul limitare del prato, una distesa ondeggiante di erbe alte e differenti le une dalle altre. Mi dovevo assolutamente dotare di un equipaggiamento appropriato se non volevo smarrirmi. Come un esploratore che parte alla volta di un nuovo mondo mi serviva una guida per non perdermi. L’ho trovata in alcune risorse che oggi reputo irrinunciabili per approcciare in modo diverso la realtà che ci circonda. Innanzitutto Keri Smith (Come diventare un esploratore del mondo) che insegna la buona abitudine di crearsi un proprio atelier di sperimentazione e Il mondo segreto delle piante di Jeanne Failevic e Véronique Pellissier (titolo originale: Les plantes ont-elles un zizi?), un libro vasto e saturo di nozioni e informazioni che una persona interessata alle piante deve conoscere. Infine una bussola utile per non perdersi è il progetto Dryades: uno strumento per il riconoscimento delle piante consultabile da smartphone o pc. Con questi attrezzi a portata di mano è arrivato il momento di tuffarsi.
Immergersi
Una volta immersi nell’erba alta l’unica cosa da fare è aprire gli occhi, allungare le mani e iniziare a imparare con lentezza. Durante l’esplorazione l’unica cosa importante è osservare e prendere appunti: abbozzare una descrizione dell’oggetto e dell’ipotesi della nostra indagine; farlo utilizzando tutti i sensi a nostra disposizione e con ogni forma stilistica possibile (dalla fotografia all’erbario). Perché nessuno di noi ha nulla da invidiare ai grandi esploratori e ai loro taccuini di viaggio (Explorers’ Sketchbooks).